Va bene, lo sketch di Avanzi del 1993 con l’attivista del PCI che si svegliava dopo venti anni di coma e, oltre a scoprire che era fallito il comunismo, Berlusconi aveva preso il potere, c’era la guerra della mafia contro lo Stato, Occhetto era segretario del PDS; doveva anche accettare il fatto che l’unica band dei suoi tempi “sopravvissuta” erano i Pooh e non i Led Zeppelin, resta indubbiamente geniale.
Ma parlando seriamente, il fatto che il quartetto Battaglia-Canzian-D’Orazio-Facchinetti (a cui vanno aggiunti Valerio Negrini che è sempre stato il membro “in più” ma autore di molte canzoni e arrangiamenti e Riccardo Fogli con loro fino al 1972 e poi tornato per “il gran finale”) ha prodotto musica di altissimo livello è indiscutibile per chiunque abbia un po’ di oggettività. Basta ricordare che per lungo periodo sono stati considerati i Genesis italiani e il loro album fino al 1980 sono stati tra i più apprezzati all’estero della musica progressive italiana. Forse la loro Parsifal insieme a Impressioni di Settembre della PFM e a Moby Dick dei Banco rappresenta il meglio del nostro paese in tale campo.
Rispetto alle altre band però, i Pooh indubbiamente sapevano vendersi meglio; erano più commerciali e più accattivanti con le loro facce da divi del cinema. Ma questo non deve distogliere il riconoscimento della loro assoluta autonomia e genialità; sono stati infatti i primi a gestirsi personalmente la loro immagine, e ad investire economicamente su se stessi. Diventando proprietari dei palchi e di tutta l’attrezzatura all’avanguardia con cui eseguivano i primi concerti – show d’Italia curati, da loro stessi, nei minimi dettagli dalla scaletta agli avveneristici effetti speciali… esatto proprio quei raggi laser che Battiato disprezzava tanto. Sono stati i primi in Italia a capire l’importanza dei video musicali (nel 1979 Io sono vivo è stato il primo videoclip italiano), i primi a suonare nei Palasport e quindi a tenere grandi concerti non solo in periodi estivi e Tropico del nord è stato il primo album italiano stampato su CD.
Ma il loro essere precursori non si limita all’uso della tecnologia e dell’elettronica, il loro album Poohlover del 1976 contiene Pierre che è stato il primo pezzo in Italia a parlare della legittimità dell’essere omosessuali e Gitano che ha denunciato il razzismo nei confronti degli zingari.
Anche nelle canzoni d’amore sono stati all’avanguardia.
Ci penserò domani è un pezzo del 1978 e se pensate che il modo di presentare una donna così indipendente e risoluta sia “normale” dovreste semplicemente ricordarvi che all’epoca, nel nostro civile paese il delitto d’onore e il matrimonio riparatore erano ancora previsti nel nostro codice penale (e lo saranno fino al 1981).
Anche nei “miei” anni 80 non era facile trovare canzoni italiane che presentassero una donna in un modo così diverso da quello con cui eravamo abituati a sentirci raccontare le storie d’amore.
Lei entrò/ Sulle scale qualcuno guardò/ I suoi strani vestiti
Per quanti anni mi hanno perseguitato questi “strani vestiti”… cosa indossava da attirare così l’attenzione sulle scale? Non è dato di saperlo, ma ti sta raccontando di una donna fuori dal consueto.
Appoggiò le spalle alla porta dicendo/ Con lui ci siamo lasciati/ Osservai due occhi segnati/ E il viso bagnato dalla pioggia/ Non so, mi disse, non so come uscirne fuori, non lo so
Allora una donna che dice “ci siamo lasciati” e cosa fa? Va a casa di un parente? No… va a casa di un amico e già sarebbe sufficiente a dar scandalo anche oggi in sede processuale (del resto con la regressione culturale in corso… transeat) ma mai quanto quello che ci viene raccontato dopo, perché la donna che sembra fin qui debole e impaurita, cambia subito registro.
La guardai/ Ed ebbi un momento di pena perché/ sembrava smarrita
Nota bene: un momento di pena. Un momento. Perché è strano per un uomo avere pena per una donna in lacrime che si precipita a casa sua nel cuore della notte?
“Io vorrei” mi disse /”vorrei che non fosse così/Ma è proprio finita” disse poi/ Ritrovando un sorriso a stento/ Comunque l’ho voluta, lo sai/ Le strade per farmi del male non le sbaglio mai
Lei ritrova un sorriso e lui “lo sa”. Ogni aggiunta sarebbe pleonastica e infatti:
Poi mi raccontò la storia che io sapevo già/ Dall’ultima volta si sentiva/ Che era più sola, più cattiva
La storia la sapevi già, è solo più cattiva dall’ultima vota. Da quand’è, narratore della storia, che consoli questa donna? O per meglio dire, come capiremo a breve, da quand’è che lei si fa consolare da te?
Si calmò, guardandosi intorno e parlammo di me/, bevendo più volte/ si sdraiò in mezzo ai cuscini e mi disse: con te / ero io la più forte/ disse poi inseguendo un pensiero: è vero/, con te io stavo bene/ e se io fossi una donna che torna/ è qui che tornerei.
Amico mio, sei fottuto, lasciatelo dire. Lei si calma e si sdraia in mezzo ai cuscini, ti dice che sei roba sua e che si, le piace stare con te. Ma solo quando gli pare. Te lo dice chiaramente e tu che fai? Ti dovresti offendere come si prevede che faccia un uomo vero… e invece da bravo “consolatore” vai a preparare la cena.
Poi cenammo qui/ le chiesi: domani cosa fai/ la pioggia batteva sui balconi/rispose: ci penserò domani!
Bel tentativo, ci hai provato a farti dire se domani sarebbe rimasta, ma non c’è trippa per gatti amico mio. Lei fa quel che vuole.
Mi svegliai / la mattina e sentii la sua voce di là:/ parlava in inglese/ la guardai:/ aveva il telefono in mano e il caffè/ e non mi sorprese/ accettai il breve sorriso e il viso/ di una che non resta./ Se puoi, mi disse, se puoi,/non cambiare mai da come sei!
Poi se ne andò via / nel modo che io sapevo già,/ passava un tassi, lo prese al volo/ abbi cura di te, pensai da solo.
Sapevi già tutto e lo hai lasciato accadere, hai svolto il tuo compito consolatore e non insisti. Ma alla fine non sei il solo a restare solo. Lei troppo presa dalla vita e dalla mondanità per rimanere con chi sta bene si allontana da sola in un taxi.
E alla fine, amico mio, hai ragione tu. Che vadano a fare in culo gli stereotipi sul maschio che non deve chiedere mai. Ti fai usare perché ti piace essere usato. Forse vorresti anche di più, ma ci si può lamentare davvero che una donna scelga te per farsi consolare?
Il bello di tutto ciò è l’accettare serenamente e pacificamente da entrambe le parti, cosa difficile per qualcuno ancora oggi quarant’anni dopo, che alcune storie hanno una funzione diversa da quella prevista dalla società e dal diritto giuridico.
Lei viene e se ne va quando vuole, tu resti lì a guardarla andare, ma la prossima volta riaprirai ancora quella porta. Se vogliamo, in modo fortunatamente meno melodrammatico, è la versione di Minuetto di Mia Martini/Califano a ruoli invertiti.
Poi nessuno può conoscere il futuro, e magari per contingenze varie quella porta resterà chiusa, di certo lo sa anche lei che la prossima volta che avrà bisogno di te forse non ti troverà. La vita fa cambiare anche quando non vuoi.
Ma ognuno ha la sua di vita da vivere con le sue scelte da fare, se ci saranno rimorsi o rimpianti … ci penseremo domani, per l’appunto.
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